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domenica 2 novembre 2014

"Non ci sono due sinistre", l'intervento di Michele Di Schiena

Riceviamo e pubblichiamo il seguente contributo, gentilmente inviato da Luigi Ribezzi:

“(…)  Il "partito della nazione", guidato dal premier all'insegna del motto "un uomo solo al comando" sembra destinato a convertire la "vocazione maggioritaria" in qualcosa di molto diverso e cioè in quella "dittatura della maggioranza" considerata dal grande saggista francese Alexis de Tocqueville come una forma di "moderno dispotismo". Una degenerazione della democrazia per la quale la maggioranza decide tutto e non tiene in alcuna considerazione i contributi e le critiche della minoranza. Qualcosa che somiglia a quanto sta accadendo da noi negli ultimi tempi. Quando Renzi dice con ostentato piglio alla Camusso che il governo non tratta con i sindacati perché spetta al Parlamento decidere afferma l'ovvio ma dimostra anche di ignorare che la partecipazione dei lavoratori alla vita politico-sociale del Paese (di cui parla l'art.3 della Costituzione) è la linfa della nostra democrazia e non si esaurisce certo nel formale ascolto delle rappresentanze sindacali ma esige costruttivo confronto, serio approfondimento e comune ricerca delle migliori soluzioni fermi restando i poteri e le competenze del Governo e del Parlamento (…) .

Sinistra democratica e partito della nazione

Il PD è oggi un partito in preda a confusione se è vero come è vero che Renzi, da una parte, lo fa aderire al Partito Socialista Europeo definendo orgogliosamente di sinistra alcune sue scelte e, dall'altra, dichiara a ogni piè sospinto superata ogni distinzione fra destra e sinistra. D'altro canto, con lo stile immediato e immaginoso che gli è proprio, l'ex segretario del PD Pierluigi Bersani, durante una recente puntata di Ballarò, afferma che il rapporto dialettico fra destra e sinistra non sarà mai superato perché "la sinistra esiste in natura" e continuerà a essere una realtà "finché ci sarà un sentimento di eguale dignità di tutte le persone". E sì, perché la sinistra non verrà mai meno fino a quando i popoli saranno divisi tra ricchi e poveri, fra vincenti e perdenti, fra sfruttatori e sfruttati, fra uomini potenti e persone private dei diritti essenziali, fra avventurieri dell'alta finanza e precari, fra poteri forti e situazioni di marginalità sociale, fra detentori del potere economico che mortificano il lavoro e masse di disoccupati. La sinistra “esiste in natura” perché fra gli uomini non c'è solo l'inclinazione al dominio e all'abuso ma c'è anche l'impulso interiore a reagire a ogni forma di arbitrio e di sopraffazione per affermare le ragioni dell'equità e dell'uguaglianza.
Fattore di confusione è poi il discorso renziano sul "partito della nazione" dal momento che il premier quando ne parla non sembra riferirsi alla veltroniana "vocazione maggioritaria" del suo partito intesa come capacità del partito medesimo di acquisire piena consapevolezza della complessità della situazione italiana e di rendersi interprete dell'interesse generale del Paese. Renzi invece appare interessato a costruire un partito "pigliatutto", capace di contenere realtà diverse anche se inconciliabili tanto è vero che egli, parlando alla Leopolda del suo nuovo partito, ha fatto preciso riferimento alle recenti adesioni di alcuni esponenti di SEL e di Scelta Civica. Il "partito della nazione", guidato dal premier all'insegna del motto "un uomo solo al comando" sembra destinato a convertire la "vocazione maggioritaria" in qualcosa di molto diverso e cioè in quella "dittatura della maggioranza" considerata dal grande saggista francese Alexis de Tocqueville come una forma di "moderno dispotismo". Una degenerazione della democrazia per la quale la maggioranza decide tutto e non tiene in alcuna considerazione i contributi e le critiche della minoranza. Qualcosa che somiglia a quanto sta accadendo da noi negli ultimi tempi. Quando Renzi dice con ostentato piglio alla Camusso che il governo non tratta con i sindacati perché spetta al Parlamento decidere afferma l'ovvio ma dimostra anche di ignorare che la partecipazione dei lavoratori alla vita politico-sociale del Paese (di cui parla l'art.3 della Costituzione) è la linfa della nostra democrazia e non si esaurisce certo nel formale ascolto delle rappresentanze sindacali ma esige costruttivo confronto, serio approfondimento e comune ricerca delle migliori soluzioni fermi restando i poteri e le competenze del Governo e del Parlamento.
Motivo di disorientamento e di accese reazioni nell'area progressista è poi l'innegabile sintonia della politica renziana in materia di lavoro con le tesi della destra berlusconiana. Un dato di fatto che è stato stigmatizzato durante la manifestazione della CGIL svoltasi a Roma il 25 ottobre. E non poteva essere altrimenti dal momento che il lavoro è sempre stato e continua a essere la stella polare delle politiche che, sia pure in modi diversi, si ispirano agli ideali e ai valori della sinistra. Duole dover constatare che nei tanti dibattiti che si stanno svolgendo sul tema del lavoro sfugga spesso la vera materia del contendere fra la maggioranza renziana e la sinistra politica e sociale. Oggetto del contrasto non è invero la pretestuosa contrapposizione tra vecchio e nuovo né quella fra lavoro garantito e mancanza o precarietà del lavoro ma è l'aperto e duro confronto sulla concezione che si ha del lavoro medesimo: se esso, come ritiene il neoliberismo, va considerato una merce o se, come afferma la nostra Costituzione, esso è il valore informativo dell'intero ordinamento ed elemento costitutivo della dignità del cittadino. Per non parlare poi del pensiero sociale e cristiano che vede nel lavoro la continuazione dell'opera creativa di Dio e guarda persino ad esso come a un mezzo di santificazione. Ecco perché la riforma del lavoro di Renzi non potrà mai trovare il consenso della tradizione socialista e neppure di quella del cattolicesimo democratico di segno progressista.
Non sembra allora del tutto appropriato parlare, come si sta ampiamente facendo in questi giorni, delle cosiddette due sinistre perché nella politica renziana si possono trovare molte pulsioni di destra e forse anche confuse tracce di gollismo e di peronismo ma è davvero arduo rinvenire qualcosa autenticamente di sinistra. La sinistra, quella democratica che non ha nulla a che fare con le sciagurate esperienze del socialismo reale, ha sempre lottato per l'affermazione della dignità del lavoro e per il riconoscimento dei suoi diritti, si è sempre opposta al lavoro servile (nelle vecchie e nelle nuove forme di precarietà) e ha sempre coltivato la speranza in un modo migliore contro i conservatorismi e i pragmatismi comunque etichettati. La sinistra, pur nelle sue diversificate espressioni, è stata e vuol essere ancora un coagulo di energie progressiste, di rivendicazioni e di speranze; la casa operosa dei lavoratori e dei cittadini socialmente deboli ma forti dell'idea di voler essere in dignità "pari agli altri" e cioè a quelli che contano e che decidono; un movimento impegnato a combattere le iniquità, gli squilibri e le emarginazioni.
Non confidi troppo Renzi nella sua buona stella auspicando azzardate quanto improbabili scissioni della minoranza perché questa sinistra, che ha dimostrato il 25 ottobre di essere viva dentro e fuori il PD, è certamente maggioritaria nell'elettorato di tale partito e, se dovesse definitivamente convincersi che il premier è un corpo ad esso estraneo, potrebbe avere in suo danno una repentina crisi di rigetto.
Brindisi, 29 ottobre 2014
f.to Michele Di Schiena".

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